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traditore del Valentino; entriamo in un battello, siam sette uomini, saremo presto a S. Orsola. Brancaleone guardando sè ed i compagni rispondeva: E dove son l’armi? Diffatti nessuno di lor tre avea neppur la spada. Fieramosca dava in ismanie, batteva i piedi, cacciandosi le mani nei capelli e pareva presso ad uscir di senno. Allora Brancaleone, che al bisogno sapeva trovar parole e ripieghi, diceva: Tu Ettore va al mare con costoro, metti in ordine il battello e i remi ed aspettaci; e tu Inigo vien meco; e partì con lui correndo mentre Fieramosca gli gridava dietro: Presto, presto, son tre ore a momenti; e quantunque i suoi amici non intendessero nè il senso di queste parole, nè il motivo di tanta fretta, conoscendo che doveva esser cosa di gravissima importanza, entraron di volo nella casa dei fratelli Colonna e nella saletta terrena ov’eran l’armi, e spiccati dal muro giachi, elmi e spade per tre persone, con egual precipizio si cacciarono a correre, e l’ebber tosto raggiunto che già stava in barca: vi buttaron quelle loro armature e saltandovi dentro Inigo, ch’era rimaso l’ultimo, con un piede appuntato alla riva la spinse in mare, ed arraffati i remi vi si curvavan sopra, e li facevan piegar per lo sforzo. Uscendo dal piccol porto che era dietro la rôcca dovean passar sotto la torre dell’orologio; quando vi furono s’udì su dall’alto quello scattare che fanno le ruote poco prima di batter l’ore. Il povero Ettore si curvò nelle spalle abbassando il capo con un moto istantaneo, come se avesse aspettato che quella torre gli cadesse allora allora sul cranio; dopo alcuni secondi il campanone diede i tre tocchi fatali, e se ne udì il suono cupo che, perdendosi nell’aria in oscillazioni decrescenti, venne debolmente ripetuto da un eco lontano.

Prima di veder l’esito del viaggio di costoro ci conviene per poco ritornare nella sala del ballo.