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capitolo xv. 209

si chinò, la raccolse, e spiegatala vi trovò dentro un sassolino che vi era stato posto solo per darle peso, onde gettandola si potesse dirigere. Vi era scritto in modo grossolano ed appena intelligibile: «Madonna Ginevra debb’esser rapita di S. Orsola per volere del duca Valentino al tocco delle tre ore. Chi vi da quest’avviso v’aspetta con tre compagni al portone di Castello ed avrà una zagaglia in mano.»

Un brivido scorse ad Ettore fin nelle midolle dell’ossa, e gli si raddoppiò ricordando che le due ore e mezzo eran già sonate all’orologio della torre da un pezzo. Non v’era un momento da perdere: pallido come un uomo che ferito a morte faccia gli ultimi passi e stia per cadere, in un lampo trovò la porta e giù a gambe per lo scalone si gettò a precipizio così come si trovava senza mantello e senza berretta, facendo restare maravigliati quanti s’imbattevano in lui, e correndo quanto poteva, giunse al luogo indicato con tanto impeto, che si dovette attenere per fermarsi al grosso anello di ferro del portone; l’arco dell’entrata era scurissimo; guardò ansando pel correre e per l’angoscia, quando, scostandosi dal muro contra il quale stava appiattato, venne avanti l’uomo della zagaglia.

La partita di Feramosca dal ballo, così a furia, tanto mutato in viso, fu osservata da molti, ma non pensarono a seguirlo udendo da Garcia il motivo che ne era stato addotto da Ettore medesimo. Inigo però e Brancaleone, che più degli altri l'amavano, non potendosi così di leggeri soddisfare, gli tennero dietro, e quantunque non lo potesser raggiungere, l’ebbero però sempre in vista, e furono al portone pochi momenti dopo di lui.

Trovarono Fieramosca che, afferrato Pietraccio, lo strascinava dicendo: Andiamo dunque, presto, presto. Vide i compagni e disse loro con gran prestezza: Se mi siete amici, venite meco ed aiutatemi contra quel

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