costoro erano in tal situazione, s’era andato inoltrando il pranzo imbandito con quel profluvio e con quelle varietà di vivande che voleva l’usanza d’allora. Se l’arte della cucina è difficile al nostro tempo, lo era forse più allora, esigendosi da un cuoco in un’occasione come questa prove delle quali non hanno i moderni la menoma idea. Tutti i piatti dovevano non solo piacere al palato, ma dilettare eziandio l’occhio dei commensali. Davanti a Consalvo era un gran pavone con tutte le sue penne spiegate facendo la ruota, e la difficoltà di cuocerlo senza guastarne la vaghezza era stata vinta con tanta fortuna che l’avresti creduto vivo: era attorniato nell’istesso piatto da molti uccelli di minor grandezza che pareva le stesser guardando; tutti ripieni di spezierie e d’aromi: di distanza in distanza sorgevano enormi pasticci alti due braccia, e, quando parve tempo, il maestro di sala diede un cenno, e si vide senz’ajuto d’alcuno alzarsi i coperchi, e dall’interno sorgere dal petto in su altrettanti nani stranamente vestiti che con cucchiai d’argento distribuivano il contenuto e gittavano fiori sui convitati. I piatti di confetti erano formati ora come monticelli sui quali crescevano piante cariche di frutti canditi, ora ad immagine di laghetti d’acque stillate, ne’ quali galleggiavano barchette di zucchero lavorato, piene di dolci; alcuni figuravano un’alpestre montagna con un vulcano sulla cima, ed il fumo che n’usciva era di gratissimi profumi. Aprendola vi si trovavan castagne ed altre frutte che si cuocevano lentamente su fiammelle d’acquavite. Fra molt’altra cacciagione un piccol cignale colla sua pelle, ed a vederlo intatto, pareva assalito colli spiedi da’ cacciatori formati di pasta, e tagliandolo poi si trovava cotto: i cacciatori anch’essi erano distribuiti in pezzi colla stessa vivanda. Verso la fine del convito, entrarono nella sala quattro paggi vestiti a scacchi rossi e gialli cavalcando quat-