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capitolo xiii. 185

cuzione. Sedè, com’era suo costume, al balcone che guardava Barletta e incominciò a pensare. Per ritornar col marito non poteva immaginare giorno in cui ciò fosse per riuscirle più agevole, essendo certa di trovarlo alle feste nella rôcca di Barletta, ove senza ostacolo poteva in mezz’ora condursi per mare. Se all’opposto avesse aspettato che fosse di nuovo al campo francese, le difficoltà se le raddoppiavano. Perciò diceva: — Qui non è da dubitare; prima di domani bisogna ch’io sia seco.... Ma con Ettore, come aggiustarla? Dentr’oggi non verrà sicuramente: aspettare? non posso lasciar l’isola, abbandonarlo, e che neppur sappia che sia avvenuto di me? Dopo che, s’io son viva, lo debbo a lui! Qui le nacque un pensiero degno solo d’un’anima qual era la sua. Se nel lasciarlo, disse fra sè, gli fo sapere qual è il mio cuore per lui a questo passo; troppo lo conosco, non avrà più un’ora di bene fin che vive; se invece me ne vo senza dirne la cagione, penserà ch’io fui una sconoscente; la memoria di me meschina gli sarà presto cancellata dal cuore.... Non potè regger a questo pensiero, sospirò, e disse: — I miei peccati son grandi, ma sono pure orribili queste pene!

Con quell’inquieta sollecitudine, che si prova nelle forti scosse dell’animo, si alzò asciugandosi gli occhi col dosso della mano, e si pose ad ammannire quel poco che pensava portar con sè. Nel cercar un cofano le vennero fra mano certi ritagli del mantello azzurro di Fieramosca, e gli avanzi del filo di argento col quale era ricamato. Il lettore saprà immaginare che cosa sentì in cuore Ginevra a quella vista.

Il primo moto fu di prenderli per portarli con sè; ma tosto disse riponendoli ove gli aveva trovati: — No... ogni pensiero di lui deve essere cancellato, e per sempre: saperlo felice per cagion mia, ciò deve bastarmi quaggiù.

Scrisse alla badessa ringraziandola in poche parole