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184 | ettore fieramosca |
a forza sulla strada che doveva battere col farle in un modo così inaspettato ritrovare il marito. — Ogni dubbio, pensava, ora è rimosso. Finch’io potei credere che più non vivesse, forse v’era modo a scusarmi, ma ora potrei, sciagurata, tirar innanzi così?
Qui un nuovo impensato ostacolo le sorgeva contro. — E quando gli anderò innanzi, e mi domanderà: Dove fosti sin ora?
Non era facile trovar la risposta. Colpita da tal idea le sembrò così assolutamente impossibile risolversi d’incontrare gli sguardi del suo giudice, che ne depose tosto interamente il progetto, e si diede a cercar altra via onde uscir da quel labirinto. Ma quanto più vi pensava tanto più conosceva che il passo, pel quale sentiva tanta ripugnanza, era appunto quel solo che potesse e dovesse fare; e diceva fra sè: — Di chi mi potrei dolere? di me stessa. S’io mi fossi governata in altro modo, e come avrei potuto? non mi toccherebbe ora quest’umiliazione così amara; e tanto più amara diverrà, quanto più sarà lungo l’indugio.
Ginevra aveva un animo di tempera forte, e perciò nemico dello stare lungamente irresoluto; disse dunque animosamente: — Posso viver sempre in tanti rimorsi? no. Posso rifiutar le speranze, estinguere i terrori d’un’altra vita? no. Dunque si faccia il debito senza curarsi d’altro; le angosce cui vado incontro siano espiazioni de’ miei errori: e tu, Madre divina! avrai pietà di me in questo mondo e nell’altro. Se Grajano non vorrà perdonarmi, che cosa potrà farmi, al peggio? Uccidermi? L’anima mia immortale volerà innanzi a Dio e potrà offrir frutti di penitenza e meritar misericordia e perdono.
Dopo un’ultima preghiera fervidissima risalì in chiesa con passo fermo e veloce quasi così le paresse farsi più animo, e s’andò a chiudere in camera per pensare qual modo terrebbe nel mettere il suo progetto ad ese-