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capitolo xiii. 181

un qualche nascosto pensiero, di grande importanza, la travagliava, si guardavano perciò dal seguirla, e quando fu partita, disse l’ortolano alla giovane:

— Che si senta male? Oppure ho io detto nulla che non istia bene? Zoraide che aveva pel capo tutt’altro, e neppur essa poteva definir quali pensieri, quali sospetti avesse, rispose con una stretta di spalle, e se n’andò, desiderando non meno di Ginevra d’esser sola; Gennaro rimasto ivi colla berretta in mano borbottava incamminandosi pe’ fatti suoi: — Son tutte a un modo! Chi le capisce è bravo!

Ginevra intanto per una scaletta saliva in camera, ma ad ogni gradino le pareva d’avere il mondo addosso; le cresceva l’anelito, sentiva battere il cuore con tanta furia, che quasi si veniva meno. Diceva continuamente sotto voce: Vergine mia ajutatemi, e crescendo l’affanno non potea dir altro che mio Dio! mio Dio! ed alla fine fu tale la stretta, che si sentì mancar le ginocchia e dovette sedere al quarto o quinto scalino ove avea potuto giungere appena, e con un respirare interrotto e frequente, e la fronte molle d’un sudore di spasimo pensava: Io non sarò mai viva domattina! Quantunque avesse sentito Zoraide andar per altra parte alla sua camera, e chiudervisi, ed essendo dopo il mezzogiorno sull’ore calde, sapesse le monache starsi ritirate a riposare nelle loro celle, pure il sospetto di poter esser trovata ivi, e così sottosopra le dava grandissimo travaglio: e per fuggirne il rischio, deposto il pensiero di salir più in camera, risolvette invece d’andarsene per la porticella del chiostro in chiesa, ove s’avvedeva oggimai dover solo cercar aiuto e difesa contro i mali che la minacciavano. Così il meglio che potea si condusse fin là, ora attenendosi ai muri, ora facendo ogni opera per camminar come il solito, quando o vedeva qualche conversa girar per gli anditi, ovvero qualche monaca far capolino dalla finestra.