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capitolo xiii. 177

mente con Fieramosca aveva aiutato fuggirsi. La cosa era appunto accaduta come aveva preveduto lo sgherro del Valentino: Pietraccio, mentre essi tentavano di porgere ajuto alla donna, s’era cacciato a correre su per la scala e poi per la porta, e liberatosi ruotando il pugnale da chi gl’impediva il passo, benchè ferito ed inseguìto da molti, pure messosi per la macchia come pratico ed agilissimo, gli era venuto fatto salvarsi. Per non cader in mano di quelli che lo cercavano, gli convenne viver miseramente appiattato nel più folto del bosco, ed ora trovandosi per caso vicino a quella che non poteva temere credendola sua liberatrice, spinto dallo stento e dalla fame le si raccomandava ajutandosi co’ cenni per farle conoscere la sua miseria che troppo al suo aspetto si dimostrava. Ginevra sentì ribrezzo e pietà di questo sciagurato, e gli disse non dubitasse, che nel monastero non v’era altri che le monache, e, non essendo la torre guardata, poteva venir con lei, che l’avrebbe nascosto in una legnaja sotto la sua casetta e ristoratolo. L’assassino, il quale forse trovava la morte men dura d’un tal vivere, la seguì, e senza esser visto potè giungere al suo nascondiglio, ove dalla pietosa donna gli fu recato cibo, e bendata la ferita che quantunque leggera pure cercava rimedio, e con un po’ di paglia accomodatogli da dormire. Risalì quindi Ginevra in casa, nel punto che Zoraide e Gennaro tronavano da Barletta.

Non si potè trattenere dal fare alla giovane un amorevole rimprovero che fosse partita senza dirle nulla.

— Zoraide mia! sono stata in pena assai non trovandoti per tutta l’isola; perchè non dirmi che andavi?

— Per non isvegliarti, — rispose Zoraide; e la poca sincerità di questa risposta le tinse le guance d’un leggiero vermiglio, che non isfuggì agli occhi di Ginevra; poi seguì:


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