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capitolo xiii. 175


Venne a seder sotto i pampini del balcone mirando cogli occhi abbagliati dalla luce d’un cielo sereno e limpido il quadro maestoso che s’offriva a’ suoi sguardi.

Il sole levato già da un pajo d’ore illuminava di faccia il lido, la città e la rôcca: fra le torri e gli spaldi rossicci parevano tratto tratto crearsi in un subito globi di fumo color di perla, attraversati da rapide lingue di fuoco, ed ai raggi solari splendevano d’una luce candidissima, rivolgendosi in mille giri che salivano dileguandosi nell’azzurro del cielo; dopo alcuni istanti giungeva lo scoppio che ripercosso dall’onde, s’udiva rinascere fra le rupi del lido e si perdeva a poco a poco in un eco lontano fra l’ultime gole de’ monti. La rôcca e la città velata ora dal fumo, che presto era poi dissipato dalla brezza marina, si specchiavano nella tinta cerulea del mare in bonaccia e talmente piano che la loro immagine rovesciata si riproduceva tremola, ma intera nell’acque.

Il suono delle campane e degli strumenti giungeva or più forte or più debole secondo il soffiar del vento; e nella quiete del monastero si potevan persino distinguere a momenti le grida e gli evviva del popolo che acclamava il capitano di Spagna. Ma nè questi segni d’allegrezza, nè il quadro ridente che aveva sott’occhio, non valevano a sgombrar dall’animo di Ginevra la mestizia che l’opprimeva. Alla puntura dei rimorsi un’altra se n’era aggiunta egualmente terribile: il sospetto d’esser tradita da quello al quale aveva fatto il sacrificio immenso di disobbedire alla voce del dovere e della coscienza. Era un dubbio che la sua mente respingeva, ed il cuore abborriva, ma in conclusione il dubbio era nato; chi ne fece la prova può dire se sia cosa facile di dissiparlo. E per verità se ciò che temeva era falso interamente, varie circostanze potean nondimeno dargli l’apparenza del vero.

Ettore aveva saputo bensì celarle l’incontro di Gra-