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capitolo xiii. | 173 |
Ed anche agli altri accordava quelle lodi che credeva meritassero; diede al guerriero che usciva a combattere alcuni avvisi sul modo di governarsi che non andaron perduti.
Entrò nell’arena Grajano bene a cavallo su un gran destriero morello coperto d’una gualdrappa color d’arancio, ed un araldo gridò ad alta voce il suo nome, dopo di che, il cavaliere andò sotto il palco di Consalvo e percosse colla lancia tre volte gli scudi d’Azevedo e d’Inigo: un fremito interno ed involontario scosse ogni fibra di Fieramosca quando udì pronunziare quel nome. Si rinnovò il rimorso d’aver taciuto a Ginevra ch’egli era vivo; e come l’uomo è tanto più atto a far buoni propositi quanto più ne scorge remota l’esecuzione, stabilì di nuovo di svelarle tutto alla prima occasione.
Intanto si cominciò a combattere: ed il guerriero piemontese, che per robustezza e maestria nell’armeggiare era contato fra’ primi, ottenne deciso vantaggio sopra Azevedo, benchè non riuscisse a scavalcarlo; ed anche con Inigo si portò in maniera che il giudizio d’ognuno rimase in favor suo. Dopo di lui si provarono molti Francesi, il sig. De la Palisse, Chandenier, Obigni, e La Motta che stizzito pel contrasto avuto con Diego Garcia circa il combattere il toro quel giorno fece maraviglie.
Per dire il vero i tre Spagnuoli, che avean preso a difender il campo, ebber la peggio, e dovettero accorgersi che porsi tre soli di loro contra le migliori spade dell’esercito francese era un’impresa troppo maggiore delle lor forze. Rimanevano però ancora in sella Inigo ed Azevedo; e Grajano, che già gli aveva combattuti una volta, si mosse di nuovo contro di loro. La stanchezza ch’essi provavano del tanto combattere gli giovò forse in parte; comunque sia, a lui toccò la fortuna di finir la guerra abbattendoli l’uno dopo l’al-