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capitolo xii. | 167 |
ne avanti, atteggiando il cavallo che, leggermente tentato dallo sprone, e rattenuto dal freno, si raggruppava e procedeva scalpitando, e volgendo or qua or là il collo e la groppa formata in arco, e colla coda ondeggiante sferzava e sollevava l’arena.
Venne a fermarsi rimpetto a donna Elvira, e dopo averla salutata abbassando la lancia, percosse con quella tre colpi sullo scudo di Inigo. Prendendola poi colla sinistra che già reggeva e briglia e scudo, pose mano all’azza che gli pendeva dall’arcione e ne percosse due volte lo scudo a Correa: e ciò volea dire che chiedeva al primo tre colpi di lancia ed al secondo due d’azza. Fatta la qual cosa, tornò all’entrata dell’anfiteatro.
Si trovò Inigo nello stesso tempo al suo luogo dirimpetto ad entrambe colla lancia alla coscia e la punta in aria. Bajardo che sin allora aveva tenuta alzata la visiera mostrando il volto coperto d’estremo pallore, pel quale molto si maravigliava ognuno che volesse o potesse combatter quel giorno, se la fece abbassare e chiudere dal suo scudiere, dicendogli che malgrado la quartana (ed in fatti da quattro mesi lo travagliava) aveva fiducia di non vituperare quel giorno l’armi francesi.
Al terzo squillo di tromba parve che un solo spirito animasse i due guerrieri ed i loro cavalli. Curvarsi sulla lancia, dar di sprone, partir di carriera colla rapidità del volo, furono cose simultanee ed ambi i cavalieri le eseguirono con pari furia e rovina. Inigo mirò all’elmo dell’avversario; colpo sicuro, ma non facile; poi quando gli fu presso, pensò che al cospetto di tale adunanza era meglio tentar cosa che non potesse andargli fallita, e si contentò di rompergli l’asta allo scudo. Il cavalier francese, che era l’uomo forse più destro di quel tempo nel maneggio dell’armi, pose con tanta sicurezza la mira alla visiera d’I-