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valeva un cortonese, ed ora sta mezzo fiorino, e tanto lo pago io al forno.... A ogni modo per signori pari vostri si ripiegherà.... m’ingegnerò.... — E con quest’esordio destinato, secondo l’usanza degli osti, a far pagar dieci quel che val due, aperse un armadio, e trattone un tegame lo pose sul fornello; e coll’aiuto del vento fatto col grembiule, e che alzava la cenere sino al soffitto, fu presto riscaldato uno spezzato di capretto, che al dir dell’oste era la sola vivanda che fosse a quell’ora in Barletta, e doveva servir di cena ad un caporale che veniva per essa a momenti; ma signori pari loro non si potevano mandar a letto a digiuno.

Comunque ella fosse, la vivanda fu gradita, e venne recata in istoviglie di terra a fiori, insieme con un boccale dell’istessa materia a larga pancia, e con un mezzo cacio pecorino duro come un sasso, nel quale eran impressi i colpi di coltello degli avventori antecedenti che avean già fatte le loro prove contra di lui. Il desco al quale sedevano era in fondo alla sala, se si può dar un tal nome a questa spelonca affumicata. Al capo opposto un gran camino, con una cappa da dodici persone, avea dalle due parti tre o quattro fornelli: davanti era la tavola del cuoco; e dal mezzo di questa, a guisa d’un T majuscolo un tavolone stretto s’estendeva quant’era lungo il luogo, quasi fino al muro dirimpetto, ove i due stavano cenando. Dal trave maestro pendeva nel mezzo una lucerna d’ottone a quattro bocchini quasi spenta, bastante appunto perchè altri non si rompesse gli stinchi nelle panche e negli scabelli che attorniavano il desco.

L’oste, com’ebbe ammannita ogni cosa pel bisogno de’ cenanti, fischiando, com’era suo costume, se ne tornò sull’uscio, in quella appunto che giungeva correndo sopra un muletto un uomo, il quale balzato a terra senza toccare staffa, gridava: