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che sta per farsi contra il toro armato dall’illustrissimo e magnifico cavaliere D. Diego Manrique de Lara conte di Paredes.

Tutte le trombe risposero: e gli spettatori di ogni classe, quali per cortesia conoscendo che da un passo più o meno fatto fare al toro potea dipendere la vita dell’intrepido Spagnuolo, quali per timor della corda, tutti rimasero immobili ed in così alto silenzio, che all’aprirsi del rimessino, il cigolar del chiavistello fu il solo strepito che s’udisse in mezzo a tanta turba da un capo all’altro dell’anfiteatro. Uscì il toro, ma non colla furia degli altri; era di minor mole, corto, traverso, e tutto nero; ma più selvaggio, d’assai: si fermò anch’esso a dieci passi da D. Garcia, e cominciò a guardarlo, sferzarsi colla coda, e gettar in aria l’arena. Il suo avversario colla spada in alto era tutto occhi e ben sapeva che un primo colpo fallito poteva riuscirgli fatale. Si mosse alfin la bestia, adagio i primi passi, poi ad un tratto dando un muglio, si gettò col capo basso addosso a Garcia. Egli credendosi spiccarle il capo come all’altra, si lancia da un lato e cala il colpo con grandissima forza; ma, sia che la spada non cadesse a filo, o che il toro facesse un contrattempo, rimbalzò sulla maglia di ferro, ed il toro gli si rivoltò addosso con tanta furia che, per tenerselo discosto, lo Spagnuolo ebbe appena tempo d’appuntargli la spada alla fronte ov’era difesa dal collarino di maglia. Qui si mostrò tutta la forza di Paredes. Piantato colle gambe aperte una innanzi l’altra, lo spadone tenuto a due mani col pomo al petto e la punta fissa nella fronte del toro, fu potente d’arrestarlo; la lama grossa e forte resse alla prova; ed era tale lo sforzo di Diego Garcia che si vedevano i suoi muscoli nelle gambe e nelle cosce specialmente gonfiarsi e tremare non meno che le vene del collo e della fronte; e la tinta del suo viso divenne rossa, poi quasi pavo-