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capitolo xii. 161

sgombrar la piazza, nella quale rimase solo immobile, e sempre col suo gran spadone in ispalla, il gigante spagnuolo.

Per questo secondo assalto, conoscendo quanto fosse difficile uscirne ad onore, e che malgrado l’erculee sue forze, tagliar un collo di toro rivestito di maglia di ferro era un’impresa almeno molto temeraria, s’era provvisto d’un altro spadone più grave assai del primo, e che usava soltanto quando doveva assaltare o difender trincee; era corso a casa, e fattogli rifare il filo piuttosto tondo, s’era ristorato in fretta divorando ciò che gli era venuto alle mani, e bevendovi su un buon fiasco di vin di Spagna. Per questi apparecchi aveva avuto tempo di avanzo, che non ce ne volle poco, nè pochi sforzi, per fasciare il collo d’un toro con un giaco di maglia, che, aperto davanti, ed infilzate le maniche alle corna, rimase adattato e fermato sotto il collo, cadendogli sulla fronte il collarino. Chi ha visto ai nostri tempi caccie di questi animali sa che si può, qualora sieno ristretti in luogo oscuro, per virtù di buoni canapi che si gettano loro alle corna, tenerli fermi, e farne ciò che si vuole.

Al suono delle trombe e di tutti gli stromenti si fece avanti un re d’armi vestito d’una casacca gialla e rossa, nella quale sul petto e sulla schiena si vedea l’arme di Spagna: accennando col suo bastone fece far silenzio e disse ad alta voce:

Per parte del re cattolico, Ferdinando re di Castiglia, Leone del regno di Granata, Indie occidentali, ec. ec., D. Gonzalo Hernandez, de Cordova Marchese, d’Almenares, commendatore, cavaliere dell’ordine di San Jago, capitano, governatore per S. M. cattolica del regno di qua del Faro, proibisce a tutti qui presenti, sotto pena di due tratti di fune, ed anche maggiore a suo beneplacito, di turbare con voci, gridi, cenni ed in alcun altro modo il combattimento

Ettore. 11