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tastandosi se aveva nulla di rotto, raccoglieva il cappello, la spada, i guanti, durando fatica a rimettersi di quella sconfitta.

Zoraide intanto, che dal luogo procurato dalla vittoria di Fanfulla scorgeva ottimamente tutto l’anfiteatro, volse l’occhio in giro e lo fermò sul balcone in faccia ove scorse Ettore che, seduto accanto a D. Elvira fra i primi baroni, l’intratteneva e procurava colla sua cortesia di mostrarsi degno d’esserle destinato cavaliere in quel giorno. La giovane spagnuola di cuor caldo e di mente fervida ed in parte anche leggiera voleva forse attribuire a quelle attenzioni una causa che in lei lusingava del pari l’amor proprio ed il cuore. Il loro dialogo aveva spettatrici due donne che a distanze diverse, e con sentimenti dissimili, pur non ne perdevano un cenno. L’una era Zoraide che, troppo lontana per poter udire i loro ragionamenti, vi prendeva però premura tale e tanto attentamente seguiva ogni lor moto da doversi accorger che la figlia di Consalvo sapeva apprezzare quanto valesse il prode Italiano e non lo guardava colla sola benevolenza della cortesia; non si sentiva di dar giudizio quali fossero i pensieri di Fieramosca, ma un cuore nei termini ove si trovava il suo suol tremare d’un’ombra. L’altra era Vittoria Colonna che per esperienza aveva conosciuto non saper la giovane Elvira abbastanza guardarsi contra gli assalti d’un bel viso e di dolci parole. Sentiva per lei affetto vero e profondo, ed appariva dalla fronte severa e dallo sguardo penetrante della figlia di Fabrizio che vedeva mal volentieri stringersi tanto que’ ragionamenti, e ne temeva le conseguenze.

Quel primo toro entrato nell’arena era stato sul principio abbandonato alla moltitudine; molti erano venuti a combatterlo con varia fortuna, ma senza poterne ottenere vittoria. Da un palco laterale ove coi baroni francesi eran molti Spagnuoli ed Italiani scese