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capitolo xii. 155

contro ed in questi termini per mille ducati. Col suo bastoncello poteva giugnere al tallone del tedesco, alto da terra un uomo e mezzo circa: lo percosse leggermente, colui si voltò in giù guardando chi lo voleva. Fanfulla senza scomporsi alzò la mano all’altezza della fronte, e movendo le dita dall’alto al basso con una leggera scossa di capo laterale unita ad un cenno dato coll’occhio e colla bocca gli fece intendere come gli occorresse il suo posto per la donna che conduceva: e l’espressione del suo viso avrebbe fatto saltar la stizza ad un morto. Martino, che essendo in alto si teneva sicuro, memore forse in quel momento del barile guastatogli, fece colle spalle quell’atto d’impazienza che significa: levamiti d’attorno: e si rimise come prima.

— Tedesco! Tedesco! disse allora Fanfulla scuotendo il capo ed alzata la voce, ti farai dare un carico di legnate, e in ogni modo la giostra per oggi fa conto d’averla veduta.

E Martino non si moveva, solo a mezza voce brontolava, chè il suo avversario, benchè lontano, pure lo teneva in sospetto.

Prima fatto che detto saltò Fanfulla su una trave ch’era in traverso, prese di sotto il Conestabile per le gambe, il quale colto all’improvviso non potè ajutarsi, lo fe’ sdrucciolar giù di dove era seduto e lo tirò a sè credendo batterlo in terra, ma il povero Martino era rimasto incastrato in mezzo di due assacce, fra le quali il suo ventre non poteva farsi strada, e gridava: — Misericordia! ajuto! L’altro seguitava a dar tratti, tirate e scosse, e finchè quel povero uomo non fu a terra tutto pesto, e pieno di graffiature, non fu contento. Ciò fatto, e dicendogli con pace: Me ne dispiace al cuore, ma non te lo dicevo io che la giostra l’avevi veduta? fece con diligenza salir Zoraide e Gennaro, e si cacciò tra la folla ridendo delle mille villanie che gli mandava dietro colui, che s’andava racconciando, e