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cata fra la polvere e gli urti della folla. Soltanto la condusse all’osteria di Veleno dicendole non dubitasse che tosto sarebbe tornato.

Trattenuto più che non pensava, osservò la sua promessa un po’ tardi, e quando volle venir con lei alla piazza per prender posto nei palchi, trovò tutto pieno di spettatori, e con un’occhiata s’accorse che non v’era speranza di situar sè e la sua compagna. Ora colle preghiere, ora coi gomiti aprendosi la strada fra il popolo che era affollato anche dietro i palchi, giunse pure a cacciarsi sotto uno di questi presso l’apertura per la quale entravano nell’arena i combattenti: ma da un tal luogo non vedeva altro che sopra il suo capo le gambe spenzolate degli spettatori, e si disperava d’essere stato guida sì poco accorta. Per sua fortuna nel momento che il toro fu lasciato, uscì dell’arena Fanfulla da Lodi, preposto a dirigere quei giuochi, il quale, vista Zoraide che stava molto malcontenta guardandosi intorno, venne ravvisando l’ortolano, e questi gli si raccomandava dicendo:

— Eccellenza! Illustrissima! guardate questa povera signora, si muor di voglia di veder la giostra, e siam giunti tardi....

Zoraide accorgendosi che il giovine cui si dirigeva questa preghiera mostrava in certe sue occhiate fulminanti più che buona volontà di trovarle posto, punzecchiava Gennaro che stesse cheto; ma era tardi; Fanfulla venne a lei, e, presala per mano, la trasse fuori al largo dietro il palco, e con un bastoncello fece far piazza al popolaccio, poi alzati gli occhi guardava dove potesse allogarla.

Sul più alto gradino, nel miglior luogo, seduto molto a suo bell’agio, colle ginocchia aperte e le braccia intrecciate sul petto si trovava per i suoi peccati il Conestabile della torre di S. Orsola, Martino Schvarzenbach. Fanfulla non avrebbe dato quest’in-