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Veniva in compagnia di Vittoria Colonna la figlia di Fabrizio, la quale divenne poi moglie del marchese di Pescara e si rese cotanto chiara per fortezza, per virtù e per ingegno. Scavalcato Consalvo corse ad abbracciare la figlia, che era scesa dalla lettiga, e se la tenne stretta chiamandola più volte1 Hija de mi alma e colmandola di carezze che contrastavano mirabilmente colla matura gravità d’un tanto uomo.

Ettore ed Inigo erano stati scelti da lui a servir di scudieri alla figlia, onde vennero avanti conducendo una chinea per farla salire in sella. Il giovane italiano piegò un ginocchio a terra, e la donzella, posando leggermente sull’altro la punta del piede, si pose a cavallo con tanta grazia che più non si poteva vedere. La fronte pallida di Fieramosca si tinse d’un leggier vermiglio, quando nel rizzarsi gli furono rese grazie da D. Elvira con un tal sorriso e con un volger d’occhi che mostravano quanto avesse cara la scelta di un così bel giovane a suo scudiere.

L’indole di costei (forse n’era cagione la soverchia tenerezza del padre) non avea per avventura la maturità di senno che si potrebbe pur trovare in una giovane di vent’anni. Il cuor caldo e la vivace fantasia non erano in lei sempre temperate da quel giudicar retto tanto difficile a trovarsi in ambo i sessi, e che pure, dopo la virtù, è il più prezioso gioiello dell’anima.

La sua amica Vittoria Colonna univa a questa dote l’acutezza ed il brio d’un prontissimo ingegno. Quantunque ambedue si dovessero dir belli egualmente, non si sarebber però potute trovar due bellezze d’un carattere più dissimile. Gli occhi sfavillanti di D. Elvira, il suo frequente sorriso, forse cagionato in parte da un intimo senso che l’avvertiva d’esser così più

  1. Figlia dell’anima mia.