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capitolo xi. | 147 |
e le barbare fisonomie di questa gente contrastando co’ visi europei, formavano un quadro pieno di vaghezza e di varietà.
La mossa di Consalvo fu salutata dallo sparo di tutte le artiglierie che guernivano le torri e gli spaldi del castello, e dalle campane sonando a distesa. Fra tanto frastuono spiccava di tempo in tempo lo squillo delle trombe ed il suono degli stromenti producendo un’armonia, se non perfettamente d’accordo, almeno tale da esprimere l’allegrezza marziale che animava l’esercito.
In questa giunse l’avviso al gran capitano che il duca di Nemours co’ suoi baroni era già entrato in Barletta, onde fermatosi mandò alcuni de’ suoi ad incontrarli, e pochi momenti dopo i Francesi comparvero al lato opposto della piazza.
Il duca vedendo Consalvo smontato, e che veniva ad incontrarlo, scavalcò, e dopo essersi ambedue stesa la mano con gentile accoglienza, il francese disse cortesemente che stimerebbe gran villania se, invitato ad una festa venisse a disturbarla, come sarebbe accaduto se per cagion sua si ritardasse d’un momento al padre di riabbracciar la figlia. Conoscendo che s’andava ad incontrarla, pregava gli fosse concesso venire con essoloro, non dubitando che se la guerra li rendeva nemici, non volesse il capitano spagnuolo tenerlo pel primo di quanti pregiavano in lui il valore, l’ingegno e l’altre sublimi sue doti. Non si poteva non esser cortese a tali parole. Risaliti i due capi a cavallo, s’avviarono i primi, ed il seguito tenne loro dietro alla rinfusa usandosi scambievolmente que’ modi cortesi de’ quali i Francesi in ogni età sono stati sempre i maestri.
A poco più d’un miglio fuor della porta il corteggio si fermò vedendo comparire da lontano la schiera che scortava la lettiga di D. Elvira.