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146 | ettore fieramosca |
tito di non stimarsi più forte di Diego Garcia, che inchiodato fra gli arcioni rideva di quegl’inutili sforzi.
Il fiore della gioventù italiana veniva di conserva coi baroni spagnuoli. Ettore Fieramosca cavalcando fra i suoi due amici più cari, Inigo Lopes de Ayala e Brancaleone portava un mantello di raso azzurro ricamato in argento, lavoro e dono delle donne di S. Orsola. Aveva grido d’esser il primo dell’esercito nel maneggiare un cavallo. Quello che aveva sotto, color di perla coi crini scuri, donatogli dal sig. Prospero, era stato addestrato da lui con tanto studio, che pareva capisse senz’ajuto di briglia o di sproni tutti i voleri del suo signore.
Pareva che Fieramosca avesse il dono di far sempre la prima figura in ogni cosa e fra tutti ovunque si trovasse.
Perfetto nelle forme del corpo ne mostrava la gentile struttura con un vestire stretto alla carne, che in ispecie alle gambe ed alle coscie non gli faceva una piega, tutto di raso bianco; ed era tanta la sua bellezza, la grazia nell’atteggiarsi, che, passando la cavalcata per le strade, le turbe guardavano lui solo o di lui solo si maravigliavano. Il giovine s’avvedeva di questo trionfo, ma quasi fra sè arrossiva di cogliersi in un pensiero che appena si vuol perdonare all’altro sesso.
In ultimo venivano gli scudieri di questi capi; e, come voleva l’uso in allora, ogni signore procurava avere a’ suoi servigi uomini di diverse nazioni; e più erano barbari e strani, più s’apprezzavano: onde si vedevano Spahis turchi colle corazzine a squame, le storte ed i cangiarri: uomini del regno di Granata armati di zagaglie moresche, sagittari tartari, e questi erano due staffieri di Prospero Colonna vestiti di colori vivacissimi cogli archi ed i turcassi d’argento. V’erano Negri venuti dall’alto Egitto armati di lunghi dardi,