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capitolo xi. | 145 |
e sul petto a sinistra aveva una spada ricamata in rosso, che era l’insegna dell’ordine di S. Yago.
Trovò a piè della scala una mula bianca catalana coperta sino a terra d’una gualdrappa di seta pavonazza cangiante trapunta d’oro; messosi in sella, il suo seguito montò a cavallo, e tutti insieme si mossero per andare incontro a D. Elvira.
Prospero e Fabrizio Colonna, vestiti di sciamito rosato, e pieni di ricami d’argento, cavalcavano, a’ suoi lati, due cavalli turchi, i più belli che si fossero visti da gran tempo in Italia. I due cugini, oramai oltre la virilità, stavano su quelle alte selle di velluto frenando gli slanci de’ loro cavalli in atto così bravo, che ben apparivano que’ gran soldati che erano, ed i migliori condottieri che contasse allora la milizia.
Nella turba che seguiva si notava all’aspetto accigliato e robusto Petro Navarro, inventore delle mine, usate con tanta fortuna all’espugnazione di Castel dell’Uovo. Diego Garcia di Paredes, l’Ercole di quel tempo, il quale non usando quasi mai coprirsi d’altro che di ferro, e neppur avendo in pronto abiti da comparire in tal giorno, aveva limitata la sua gala a far sì che le sue armi fossero meglio forbite del solito, ed a togliere il più feroce di parecchi cavalli da battaglia che aveva. Era un gran stallone calabrese preso al capestro da poche settimane, alto, membruto e nero come un corvo, senza pelo d’altro colore.
Il solo Paredes avrebbe osato e potuto cavalcare questa bestia selvaggia, che avvezza fra i boschi, trovandosi ora fra tanto popolo e tanto romore, s’era imbizzarrita, sbuffava e schiumava come un leone.
Ma la statura del cavaliere, la sua grave armatura e l’ajuto d’un freno lungo mezzo braccio che insanguinava la bocca al cavallo, glielo facevan soggetto, e dopo aver fatti nel muoversi cento strani salti (e nessuno era tardo a dargli luogo) prese il savio par-
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