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capitolo x. | 135 |
invelenito in mezzo a loro, e chiamandoli traditori, cominciò con un bastone che avea raccolto a scaricar su tutti senza guardar nè a chi, nè come, nè dove, una grandine di legnate e calci e spinte e pugni, e tra che egli era robustissimo, tra che quelli non se l’aspettavano, li mise in tanto scompiglio, che si trovarono in terra malmenati e sottosopra, prima che potessero conoscere chi fosse l’autore di quella bussa.
Dopo una tale impresa, senza dir addio, come si può pensare, saltò a cavallo, ed era già lontano dal campo quando quei capi rimessisi in piedi pensarono a farlo pigliare.
Lasciati così i Fiorentini s’era condotto con Prospero Colonna, ed ora si trovava in Barletta col resto della compagnia.
L’avviso recatovi da Boscherino che il Podestà era stato preso dai venturieri, dato in modo che non cadessero sospetti sopra di lui, avea messo in moto il bargello colla sbirraglia di Barletta, i quali s’erano drizzati verso la montagna. Fieramosca e Fanfulla con alcuni cavalli gli eran venuti seguitando, e, mandata innanzi la corte, s’eran fermati a guardar lo sbocco della valle ov’è posta la chiesetta.
Ricevettero dalle mani de’ birri due prigioni che avean avuto con gran fatica, e li condussero alla torre ove comandava Martino Schvarzenbach.
Quando questi scese sotto il portone, i due sciagurati stavano in mezzo ai soldati aspettando venisse aperta la prigione. L’uno era il capobanda Pietraccio, giovane feroce, di membra e d’aspetto come un selvaggio, con un ciuffo scompigliato di capelli rossicci che gli cadeva sugli occhi, e le braccia nude, lorde ancora del sangue del podestà, strette sul petto da una corda che entrava nelle carni, avea lo sguardo basso e smarrito del lupo colto nel laccio. L’altra era una donna alta di statura, di belle forme; il tra-