Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/127

124 ettore fieramosca

to da merli, fra i quali si vedevano uscire le bocche di due falconetti.

La badessa del monastero, rivestita dei diritti baronali, vi teneva alla guardia una compagnia di ottanta fanti fra picche ed archibusi, guidata da un tal Martino Schvarzenbach tedesco, soldato di ventura, il quale trovava più comodo lo starsi a grattar la pancia in quella torre ben pagato e meglio pasciuto, che l’andar tribolando la vita sua in campagna ed in guerra, ove avea conosciuto che il diletto di malmenare e svaligiare i popoli, era spesso turbato dalla palla d’un archibugio o della punta di una partigiana. Le sue tre passioni dominanti erano lo star lontano dalle busse, il rubare, ed il bere tanto vin di Puglia quanto ne poteva capire il suo stomaco, che su questo particolare aveva poco da invidiare a una botte.

Queste sue inclinazioni gli si leggevano in viso; le due prime, in un par d’occhi pieni ugualmente d’avidità e di codardia, l’ultima, in un vermiglio vivissimo, che lasciando pallido il resto del volto si concentrava tutto sulle gote e sul naso. Barba rada e del color di quella d’un becco, labbra pavonazze, ed un corpo che sarebbe stato atto a reggere alle fatiche della milizia se gli stravizzi non l’avessero a quarant’anni ridotto floscio e spossato, come avrebbe potuto esserlo a settanta.

L’ufficio di costui si riduceva a chiuder la porta la sera. Gli eserciti che guerreggiavano ne’ contorni non aveano mire ostili contra il monastero, onde non era da guardarsi da loro. Le bande de’ venturieri che scorrevano il paese non avrebbero osato assalire ottanta uomini chiusi in una buona torre con due falconetti. Ma v’era poi un altro motivo che lasciava dormir sonni tranquilli a Martino Schvarzenbach quantunque circondato da costoro. Egli s’era condotto colla badessa per guardare il monastero, ma non si cre-