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112 | ettore fieramosca |
seco l’ortolano nel luogo ove si mutavano le guardie ed era pieno d’ufficiali e soldati, gli domandò:
— È fra questi?
Gennaro guardò un poco, vide Fieramosca, e disse:
— È quello.
E D. Michele da uno di que’ soldati seppe finalmente che avea trovato chi cercava.
Cinque minuti dopo era col podestà all’osteria, a quell’ora deserta, e seduti uno in faccia all’altro ai due lati d’una tavola sulla quale stavano due bicchieri ed un boccale di greco.
Cominciò D. Michele con una fisonomia tutta modesta:
— La scoperta è fatta. Ma prima d’entrar in altro v’ho da dir due parole. D. Litterio, io ho girato il mondo, e fo professione di conoscer gli uomini dabbene a prima vista. Dal poco che abbiamo discorso insieme ritraggo che non è al mondo il miglior ingegno del vostro.
Il podestà annunziava col viso una risposta al complimento.
— No, no, non serve.... dico quel che penso. Voi non mi conoscete. Se pensassi il contrario, vi direi tondo, signor podestà, abbiate pazienza, ma siete un cervellino. Dunque, s’io fossi un ciurmatore, cercherei d’un altro. Ma siccome mi vanto, d’esser uomo dabbene quanto chicchessia, e venga chi vuole, così non temo aver che fare con chi tien gli occhi aperti. Ora, vi voglio dir tutto, e neppure avrete a prestar fede alle sole parole; vedrete fatti, ed allora potrete conoscere d’esservi impacciato con un galantuomo.
Qui cavò fuori una sua filastrocca: che egli era stato gran peccatore, e per avere il perdono era andato al santo sepolcro: che un eremita del Libano l’aveva finalmente assolto, dandogli per penitenza che dovesse per sette anni girare il mondo, ed ove tro-