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106 | ettore fieramosca |
sapere soltanto che è feudo di S. Chiesa. E ciò significa ch’essa n’è padrona; ed essendo padrona, n’ha investito, son circa dugento anni, Carlo duca di Provenza, del quale è erede il Cristianissimo.
— Oh bella! ed alla Chiesa chi l’ha donato?
— L’ha donato un guerriero francese che si chiamava Roberto Guiscardo, il quale per forza d’arme se n’era fatto padrone.
— Ora poi capisco meno che mai. Il libro che m’ha dato Ginevra, e l’ho letto tutto, sai, e con attenzione, non è egli scritto da Issa-ben-Jusuf?
— Sì.
— Non dice forse che tutti gli uomini son fatti ad immagine di Dio, ricomprati col suo sangue? Capisco vi sia fra i cristiani alcuni che, abusando della forza, si faccian signori dell’avere e delle vite de’ loro eguali; ma come quest’abuso possa cambiarsi in diritto che ricada sui figli dei figli, non lo capisco.
— Io non so, — rispose Ettore sorridendo, se tu non capisca, o se capisca troppo. Quello che è certo, senza questo diritto che cosa diverrebbero i papi, gl’imperatori, i re; e senza loro come andrebbe il mondo?
Zoraide si strinse nelle spalle, e non rispose altro. Con ciò che aveva nel paniere apparecchiò una merenda su uno di que’ sedili, coperto prima da una tovaglia che mandava la fragranza del bucato.
— Oh sì, — disse Ettore, per divertir i pensieri che leggeva sulla fronte di Ginevra, attendiamo noi a star allegramente fin che si può, e ’l mondo vada come vuole. Così mangiarono lietamente.
— Il proverbio, seguiva Fieramosca, dice non parlar di morti a tavola; dunque nemmeno di sfide; parliamo di cose allegre. Saremo in feste presto. Il signor Consalvo ha bandito una giostra, una caccia di tori, e commedie e balli e desinari: vuol esser una cuccagna.