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nè la balistica sarebbesi alzata ad esatta scienza senza la mente stupenda del Toscano Galilei che può dirsi il legislatore del moto di proiezione, ed al quale si dee eziandio un trattato di fortificazione. E dopo che Tartaglia correva per tre secoli innanzi alla invenzione dell’uffiziale francese Choumara di tirare addietro i parapetti, e Marchi insegnava tutti gli espedienti dell’arte fortificatrice, le contragguardie, gli aloni, le mezze lune, i rivellini, le frecce, i ridotti, le berrette da prete, le opere a corno ed a corona, i giuochi delle inondazioni, i principii della fortificazione perpendicolare; dopo che ebbero il Lanteri da Paratico innalzato a scienza ma tematica l’arte del fortificamento, il Theti da Nola tagliati a denti i fianchi e distaccati i bastioni, il Floriani Pompeo costrutta la barca da ponti scomponibile in tre parti, il Montecuccoli dettato sì grandi aforismi per l’assedio e la difesa, dopo tutto questo direm noi che non avendo opere non possiamo aver lingua? Ventinove scrittori italiani conta la militare architettura nel secolo XV, quando sullo spirare del XVI apparve in Francia il primo trattato di fortificazione di Errard ingegnere di Errico IV. Arrovelliamo dunque d’italiano rossore nel vedere chi ancora voglia esser tenero della lingua militare francese, adoperando nelle scritture e nei parlari un bastardume di voci. Purghiamo l’azzurro del nostro Cielo dai miasmi del gallicismo; chè oramai non ha d’uopo la militare favella italiana di altra veste che non sia la sua, candida quanto le nevi delle sue Alpi.

Ad ammendare sì grave fallo surse primo in Italia il Grassi, il quale era segretario dell’Accademia di Torino, e metteva a stampa nel 1816 la prima edizione del Dizionario militare italiano. Pure non soldato egli, nè tra quelli che vivon vita operosa in mezzo ad artefici fabbriche e ministeri militari, ebbe a cadere in qualche errore, dottamente notato dal chiarissimo

maresciallo dell’esercito nostro Desauget, già troppo noto e caro a tutti coloro i quali abbiano in pregio dottrina erudizione e cortesia. La morte intanto del celebrato Torinese, autore del dettato su’sinonimi, sventuratamente avvenuta nel 1831, già ridotto com’era a valersi dell’opera di amanuensi per la vista perduta, fece sì che affidati i nuovi manoscritti del suo vocabolario agli accademici cavalieri Salluzzo Carena Omodei ed abate Gazzera, costoro dopo lungo considerare con troppa gelosia di amichevoli officii si determinarono di farli pubblici tali quali il dotto autore aveali lasciati, non quali li avrebb’egli ridotti. È però necessario di apporvi e giunte ed osservazioni, perchè vie meglio vada raccomandato l’uso di un libro, che dovrebb’essere come presidio di colui il quale nello scrivere di cose di guerra cerca lode di purgato scrittore.

In fatto poi di cose pertinenti all’artiglieria è povero anzi che no il Dizionario del Grassi, ed il Maggiore dell’arme nel Ducato di Parma barone Giuseppe Ferrari vi avea volto il pensiero, e due egregi uffiziali delle artiglierie piemontesi uno ne posero a stampa nel 1835 tutto particolare alle milizie scienziate. Ultimamente intorno alle cose marinaresche v’è a consultare il Pantera, comunque difettosissimo, ed il più recente Stratico, tuttochè senta del veneziano dialetto. Delle quali opere ho fatto io tesoro e di libri italiani eziandio, de’quali darò in principio una breve bibliografia, perchè chi voglia, possa più ampiamente consultarli. Nè mi sono tenuto a’ pochissimi che van considerati siccome classici; perocché mi ebbi una legge nella sentenza del chiarissimo Pietro Giordani, principe degl’italiani prosatori. «I vocaboli sono arbitrario segno delle cose; e ogni cosa dee avere il segno proprio; altrimenti non sarà enunciata, e l’idea di lei non potrà passare dall’uno nell’altro cervello. Questi segni, questi vocaboli bisogna prenderli come sono