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l’eroe. 333

e ad allungarsi su la piazza. Dinanzi all’altare, dove san Pantaleone era caduto, otto uomini, i privilegiati, aspettavano il momento di sollevare la statua di san Gonselvo; e si chiamavano: Giovanni Curo, l’Ummálido, Mattalà, Vincenzio Guanno, Rocco di Céuzo, Benedetto Galante, Biagio di Clisci, Giovanni Senzapaura. Essi stavano in silenzio, compresi della dignità del loro ufficio, con la testa un po’ confusa. Parevano assai forti; avevano l’occhio ardente dei fanatici; portavano alli orecchi, come le femmine, due cerchi d’oro. Di tanto in tanto si toccavano i bicipiti e i polsi, come per misurarne, la vigoria; o tra loro si sorridevano fuggevolmente.

La statua del patrono era enorme, di bronzo vuoto, nerastra, con la testa e con le mani d’argento, pesantissima.

Disse Mattalà:

‟Avande!”

In torno, il popolo tumultuava per vedere. Le vetrate della chiesa romoreggiavano ad ogni colpo di vento. La navata s’empiva di fumo d’incenso e di belzuino. I suoni delli stromenti giungevano ora sì ora no. Una specie di esaltazione cieca prendeva li otto uomini, in mezzo a quella turbolenza religiosa. Essi tesero le braccia, pronti.