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la guerra del ponte. 311


‟Facéte vu, Nu ce ne jame,” concluse il vecchio, acre, coprendosi il capo. E i tre villici uscirono dalla sala, con un passo pieno di dignità, in silenzio.

Come furono fuori del paese, nella campagna opulenta di vigne e di gran ciciliano, Giulio Citrullo, soffermatosi per accender la pipa, sentenziò:

‟Ocche bádene a isse! Ca ssta vote sa coma va sgrizzenrie li cocce, pe’ la Majelle!... I nin vulesse esse lu sínnache.”

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Intanto nel territorio contadino il timore del morbo imminente sconvolgeva tutti li animi. In torno alli alberi fruttiferi, in torno alle viti, in torno alle cisterne, in torno ai pozzi, li agricoltori vigilavano, sospettosi e minacciosi, con una costanza instancabile. Nella notte colpi di fucile frequenti turbavano il silenzio; i cani, aizzati, latravano fino all’alba. Le imprecazioni contro i Governanti scoppiavano di giorno in giorno con maggior violenza d’ira. Tutte le pacifiche ed auguste fatiche agresti erano intraprese con una sorta d’incuria e d’insofferenza. Sorgevano dai campi le canzoni di ribellione rimate all’improvviso.

Poi, i vecchi rinnovavano i ricordi delle passate-