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310 | la guerra del ponte. |
delle labbra come per avvertirli dell’inganno ch’egli credeva si celasse nelle parole dei consiglieri signori e del sindaco.
Finalmente, non più potendo trattenersi, disse, con la sicurtà di un uomo che sa e vede molto:
‟’Mbè, levàme ssti chiacchiere in tra di nu áutre. Le vuleme fa’ veni nu poche de culere, u ne le vuleme fa’ veni? Dicémecele ’n segrete, mo.”
A queste inaspettate parole, tutti i consiglieri furono da prima presi dalla meraviglia, e quindi dal riso.
‟Vatténne, Mengarì! Che ti mitte a dice, sangue de Crimie!” esclamò don Aiace, il grande assessore, spingendo con la mano una spalla del vecchio. E li altri, scotendo il capo o battendo il pugno in su ’l tavolo sindacale, commentavano la pertinace ignoranza dei cafoni.
‟’Mbè, ma ve pare mo ca nu credeme a ssi chiacchiera quisse?” fece Antonio Mengarino, con un gesto vivo, poichè sentivasi punto dall’ilarità che le sue parole avevano suscitata. Nell’animo di lui e in quello delli altri due agricoltori la diffidenza e la nativa ostilità contro la signoria insorgevano. — Dunque essi erano esclusi dai segreti del Consiglio? Dunque ancora erano considerati come cafoni? Ah, brutte cose, per la Majella!... —