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il martirio di gialluca. 301


Ferrante La Selvi, che vedeva la barca pericolare, diede un comando a squarciagola:

‟Molla le scòtteee! Butta ’l timone a l’ôrsa!”

I due Talamonte, Massacese, Cirù manovrarono. Il trabaccolo riprese a correre beccheggiando. Si scorgeva Lissa in lontananza. Lunghe zone di sole battevano su le acque, sfuggendo di tra le nuvole; e variavano secondo le vicende celesti.

Ferrante rimase alla sbarra. Li altri marinai tornarono a Gialluca. Bisognava nettare le aperture, bruciare, mettere le filacce.

Ora il ferito era in una prostrazione profonda. Pareva che non capisse più nulla. Guardava i compagni, con due occhi smorti, già torbidi come quelli delli animali che stanno per morire. Ripeteva, ad intervalli, quasi fra sè:

‟So’ morto! So’ morto!”

Cirù, con un po’ di stoppa grezza, cercava di pulire; ma aveva la mano rude, irritava la piaga. Massacese, volendo fino all’ultimo seguire l’esempio del cerusico di Margadonna, aguzzava certi pezzi di legno d’abete, con attenzione. I due Talamonte si occupavano del catrame, poichè il catrame bollente era stato scelto per bruciare la piaga. Ma era impossibile accendere il fuoco su ’l