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il martirio di gialluca. 299

di Talamonte maggiore, ch’era affilato di fresco. Ripetè:

‟Curagge! Avande!”

Quasi un fremito d’impazienza scoteva lui e li altri.

L’infermo ora pareva preso da uno stupidimento cupo. Teneva li occhi fissi su ’l coltello, senza dire niente, con la bocca semiaperta, con le mani penzoloni lungo i fianchi, come un idiota.

Cirù lo fece sedere, gli tolse la fasciatura, mettendo con le labbra quei suoni istintivi che indicano il ribrezzo. Un momento, tutti si chinarono su la piaga, in silenzio, a guardare. Massacese disse:

‟Cusì e cusì,” indicando con la punta del coltello la direzione dei tagli.

Allora, d’un tratto, Gialluca ruppe in un gran pianto. Tutto il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi.

‟Curagge! Curagge!” gli ripetevano i marinai, prendendolo per le braccia.

Massacese incominciò l’opera. Al primo contatto della lama, Gialluca gittò un urlo; poi, stringendo i denti, metteva quasi un muggito soffocato.

Massacese tagliava lentamente, ma con sicurezza; tenendo fuori la punta della lingua, per una