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il martirio di gialluca. 295


‟Eh, po ésse’.”

Infatti, il giorno dopo, la cuticola del tumore fu sollevata da un siero sanguigno e si lacerò. E tutta la parte prese l’apparenza di un nido di vespe, d’onde sgorgavano materie purulente in abbondanza. L’infiammazione e la suppurazione si approfondivano e si estendevano rapidamente.

Gialluca, atterrito, invocò san Rocco che guarisce le piaghe. Promise dieci libbre di cera, venti libbre. Egli s’inginocchiava in mezzo al ponte, tendeva le braccia verso il cielo, faceva i voti con un gesto solenne, nominava il padre, la madre, la moglie, i figliuoli. D’in torno, i compagni si facevano il segno della croce, gravemente, ad ogni invocazione.

Ferrante La Selvi, che sentì giungere un gran colpo di vento, gridò con la voce rauca un comando, in mezzo al romorío del mare. Il trabaccolo si piegò tutto sopra un fianco. Massacese, i Talamonte, Cirù si gittarono alla manovra. Nazareno strisciò lungo un albero. Le vele in un momento furono ammainate: rimasero i due fiocchi. E il trabaccolo, barcollando da banda a banda, si mise a correre a precipizio su la cima dei flutti.

‟Sante Rocche! Sante Rocche!” gridava con più fervore Gialluca, eccitato anche dal tumulto