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la fattura. | 275 |
gioia del vino, balbettava non so che laudi del suo bel porco e teneva il prete per la manica affinchè ascoltasse. Sopra di loro pendevano dalla vôlta lunghe corone di poponelle d’acqua verdegialle; le lucerne mal nutrite d’olio fumigavano.
Era buona ora di notte quando li amici ripassarono il fiume, alla luna occidua. Nel discendere su la riva Mastro Peppe fu lì lì per cadere tra la melma, tanto egli avea le gambe malferme e la vista torbida.
Disse il Ristabilito:
‟Facéme ’n’ópera bbone. Arpurtéme a la case custù.”
E il ricondussero, sorreggendolo alle ascelle, su per la pioppaia. Balbettava l’ebbro, travedendo i tronchi biancicanti nella notte:
‟Uh, quanta frate duminicane!...”
E Ciávola:
‟Vann’a la cerche pe’ sant’Antuone.”
E l’ebro, dopo un poco:
‟O Leprucce, Leprucce, sette rótole de sale n’abbaste. Coma facéme?”
Giunti all’uscio di casa, i tre congiuratori se ne andarono. Mastro Peppe salì a grande stento la scaletta, sempre farneticando di Lepruccio e del sale. Poi, senza rammemorarsi d’aver lasciato