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la fattura. | 267 |
si persero nel gorgogliare caldo e vermiglio del sangue che sgorgava dalla ferita slabbrante, mentre il gran corpo dava li ultimi tratti. Il sole del novello anno beveva dalla riviera e dalle terre umide la nebbia. La Bravetta guardava, con una sorta di dilettosa ferocia, l’occisor Lepruccio bruciare con un ferro rovente li occhi del porco profondati nel grasso; e gioiva, udendo stridere i bulbi, al pensiero del molto lardo e del molto prosciutto futuro.
L’ucciso fu sollevato, a forza di braccia, sino all’uncino d’una sorta di forca rusticale, e rimase pèndulo con la testa in basso. Ivi con fasci di canne accese i coloni arsero tutte le setole; le fiamme crepitavano quasi invisibili alla maggior luce del giorno. Lepruccio in ultimo con una lama lucida si diede a raschiar quel corpo nerastro che un altr’uomo intanto aspergeva d’acqua bollente. La pelle, a mano a mano divenendo netta e tutta di un dubbio pallor roseo, fumigava nel sole. E Lepruccio, che aveva una faccia rugosa e untuosa di vecchia femmina con le campanelle d’oro alli orecchi, stringeva le labbra nella bisogna, allungandosi ed accorciandosi, giocando su i ginocchi.
Quando l’opera fu fornita, Mastro Peppe ordinò che i coloni deponessero il porco in un luogo coperto. Mai, nelli altri anni, più meravigliosa mole