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260 Mungià.

un singolar predominio dei colori aranciati. Pareva una di quelle figure monocromatiche dipinte, su certi rustici vasi castellesi, in attitudini rigide. Ne’ suoi occhi, come in quelli dei cani da pastore, brillava una trasparenza tra castanea ed aurea; la cartilagine delle sue grandi orecchie, aperte come quelle dei vipistrelli, contro la luce tingevasi d’un giallo roseo; le sue vesti erano di quel panno color tabacco chiaro, che per solito adoperano i cacciatori; e il vecchio violone, ornato di penne, di fili d’argento, di fiocchi, d’imaginette, di medaglie, di conterie, aveva l’aspetto di non so quale artifizioso stromento barbarico d’onde dovessero escire novissimi suoni.

Ma Lucicappelle, tenendo a traverso il petto la sua immane chitarra a due corde accordate in diapente, veniva ultimo con un passo di danza e e di baldanza, come un Figaro rusticale. Egli era il giocondo spirito della paranzella, il più verde d’anni e di forze, il più mobile, il più arguto. Un gran ciuffo di capelli crespi gli sporgeva su la fronte, di sotto a una specie di tòcco scarlatto; gli brillavano alli orecchi femminilmente due cerchi d’argento: le linee della sua faccia formavano un natural componimento di riso. Egli amava il vino, i brindisi in musica, le serenate in onor della