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218 turlendana ritorna.

So’ trent’anni. Teneva la forza di Sansone: tirava l’áncore co’ un dito.... Povero giovane! Eh, chi va pe’ mare quella fine fa.”

Turlendana ascoltava, tranquillamente.

‟Lu secondo marito, doppo cinqu’anni di vedovanza, fu ’n’ortonese, lu figlio di Ferrante, ’n’anima dannata, che s’er’unito co’ li contrabbandieri, a tempo che Napolione stava contro l’Inglesi. Facevano contrabbando, da Francavilla infino a Silvi e a Montesilvano, di zucchero e di cafè, co’ li legni inglesi. C’era, vicino a Silvi, ’na torre delli Saracini, sotto il bosco, da dove si facevano li segnali. Come passava la pattuglia, plon plon, plon plon, noi ’scivamo dall’alberi....” Ora il parlatore accendevasi al ricordo; ed obliandosi descriveva con prolissità di parole tutta l’operazion clandestina, ed aiutava di gesti e di interiezioni vive il racconto. La sua piccola persona coriacea si raccorciava e si distendeva nell’atto. ‟In fine, il figlio di Ferrante era morto d’una schioppettata nelle reni, per mano de’ soldati di Gioachino Murat, di notte, su la costiera.

‟Lu terzo marito fu Titino Passacantando che morì nel letto suo, di male cattivo. Lu quarto vive. Ed è Verdura, bonomo, che no’ mestura li vini. Sentarai, segnore.”