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198 la contessa d’amalfi.

Don Giovanni Ussorio, presente sempre, aveva delle arie padronali; ogni tanto si avvicinava a Violetta e le mormorava qualche cosa nell’orecchio, con familiarità, per ostentazione. Avvenivano lunghi intervalli di silenzio, in cui Don Grisostomo Troilo si soffiava il naso e Don Federico Sicoli tossiva come un macacco tisico portando ambo le mani alla bocca ed agitandole.

La cantatrice ravvivava la conversazione narrando i suoi trionfi di Corfù, di Ancona, di Bari. Ella a poco a poco si eccitava, si abbandonava tutta alla fantasia; con reticenze discrete, parlava di amori principeschi, di favori regali, di avventure romantiche; evocava tutti i suoi tumultuari ricordi di letture fatte in altro tempo: confidava largamente nella credulità delli ascoltatori. Don Giovanni in quei momenti le teneva addosso li occhi pieni d’inquietudine, quasi smarrito, pur provando un orgasmo singolare che aveva una vaga e confusa apparenza di gelosia.

Violetta finalmente s’interrompeva, sorridendo d’un sorriso fatuo.

Di nuovo, la conversazione languiva.

Allora Violetta si metteva al pianoforte e cantava. Tutti ascoltavano, con attenzione profonda. Alla fine, applaudivano.