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la contessa d’amalfi. 193

tanto, saltava un turacciolo e le spume del vino si riversavano.

Don Giovanni amava spruzzare i convitati, specialmente i calvi, per far ridere Violetta. I parassiti levavano le facce arrossite; e sorridevano, ancora masticando, al principale, sotto la pioggia nivea. Ma Don Antonio Brattella s’impermalì e fece per andarsene. Tutti li altri, contro di lui, misero un clamore basso che pareva un abbaiamento.

Violetta disse:

‟Restate.”

Don Antonio restò. Poi fece un brindisi poetico in quinari.

Don Federico Sicoli, mezzo ebro, fece anche un brindisi a gloria di Violetta e di Don Giovanni, in cui si parlava persino di sacre tede e di felice imene. Egli declamò a voce alta. Era un uomo lungo e smilzo e verdognolo come un cero. Viveva componendo epitalami e strofette per li onomastici e laudazioni per le festività ecclesiastiche. Ora, nell’ebrietà, le rime gli uscivano dalla bocca senza ordine, vecchie rime e nuove. A un certo punto egli, non reggendosi su le gambe, si piegò come un cero ammollito dal calore; e tacque.

Violetta Kutufà si diffondeva in risa. La gente