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la contessa d’amalfi. 185

ventre e la picciolezza delle gambe. I capelli, lucidi di olii cosmetici, parevano una frangia artificiale attaccata intorno al berretto ed erano più neri del consueto.

Un pulcinella impertinente, passando, strillò con la voce falsa:

‟Mamma mia!”

E fece un gesto di orrore così grottesco, dinanzi al travestimento di Don Giovanni, che in torno molte risa scampanellarono. La Ciccarina, tutta rosea dentro il cappuccio nero della bautta, simile a un bel fiore di carne, rideva d’un riso luminosissimo, dondolandosi fra due arlecchini cenciosi.

Don Giovanni si perse tra la folla, con dispetto. Egli cercava Violetta Kutufà; voleva prendersi Violetta Kutufà. I sarcasmi delle altre maschere lo inseguivano e lo ferivano. D’un tratto egli s’incontrò in un secondo gentiluomo di Spagna, in un secondo conte di Lara. Riconobbe Don Antonio Brattella, ed ebbe una fitta al cuore. Già tra quei due uomini la rivalità era scoppiata.

‟Quanto ’sta nespola?” squittì Don Donato Brandimarte, velenosamente, alludendo all’escrescenza carnosa che il membro dell’Areopago di Marsiglia aveva nell’orecchio sinistro.