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notturno 81

sul tavolato dell’imbarcatoio e gli parlo. Gli domando se vuole sostituirsi al caduto, nell’impresa dalmatica.

Esita. Finisce col dire ch’egli crede fermamente non esservi alcuna speranza di buon successo, ma che, da buon soldato, obbedirà se riceverà un comando netto.

Soggiunge: «Un solo motore. Un apparecchio infido. Circa nove ore di volo. Certo cadremo e rimarremo in mare. Non c’è da far conto sul soccorso delle torpediniere. Ma io, del resto, sono abituato a passare ore e ore in acqua».

«E io mi abituo a tutto rapidamente» gli rispondo, ritrovando per un attimo il mio sorriso.

L’ardore dissimulato del mio compagno perduto mi avviluppa. Rivedo le sue mani al volante, gli occhi verdastri dietro i vetri della maschera. E sento che forse mai più ritroverò il mio pari nell’amore del fato.