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sembra che sieno essi per spezzarsi di dolore, del mio medesimo dolore.

Ridiscendiamo nella gondola, voltiamo pel canale, lungo la ripa degli alberi secchi. Il pallone frenato si dondola stupidamente nell’aria, sopra la sua gabbia nerastra.

La stanza è ingombra di nuove corone. L’afa è più spessa.

Renata s’inginocchia, depone le rose, prega. Esce, parte. Se ne torna in gondola, sola, col suo segreto.

E comincia la peggiore delle torture.

Sono le quattro, ma le casse non sono ancora pronte e il saldatore non è ancora venuto.

Tra le cinque e le sei, l’odore della morte nella stanza comincia a farsi intollerabile. Esco, rientro, esco di nuovo.

M’incontro con un nostro buon compagno, con un giovine pilota che ha già dato belle prove di prodezza. Lo prendo in disparte, lo conduco