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52 | notturno |
È forse l’ultima imagine. Renata vuole accompagnarmi. Usciamo.
Tepore primaverile su la riva chiara.
Le torpediniere grige ormeggiate.
1 tre numeri scritti col gesso su la porta rossa della casa dov’è lo studio: 41, 5, 9.
Renata mi lascia là e torna indietro. Salgo.
Non so dissimulare il mio umor nero. Cinerina è là, tutt’occhi, tutta mento, non più donna ma volontà d’arte, con la sua tunica di tela bianca, coi suoi sobrii pennelli in mano. Prendo l’attitudine, trasognato.
Non ascolto le cose ch’ella dice pel gusto della chiacchiera. Passa un tempo indefinito, certo breve.
Sentiamo qualcuno salire le scale di legno e picchiare alla porta chiamandomi.
È la voce di Renata. Apro.
Renata è pallida e sconvolta.
«Vieni, è successa una disgrazia.»