Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
XIV | ANNOTAZIONE |
buon tizzone di quercia, in commemorazione del mio focolare.
Stavamo intorno accosciati, in silenzio.
Solamente il soldato e la fiamma stavano in piedi.
La fiamma era bella, e il soldato era di là da ogni bellezza con la sua divina miseria.
La fiamma ruggìva, e il soldato serrava le labbra.
E tutti i fuochi della mia cecità inaridita e sterilita non mi diedero mai tanta passione quanta me ne dava quel fuoco in terra.
Come i fastelli si furono consumati ed ebbimo attorno attorno raccolti i sermenti e gli stecchi per tutto ardere, io presi la mia bracciata di lauri e la gettai su la brace.
Restammo là sospesi a guardare, ad ascoltare.
Il lauro minacciò qualche cosa. Poi divampò come un’ira magnanima.
Fummo tutti splendenti di lui, tutti abbagliati da lui, rapiti da lui.
Ora l’ignoto non aveva altro corpo se non quello.
E la voce che aveva chiamato Lazaro, quella medesima voce disse al misero che aveva gettato invano la sua rete nella corrente del martirio: «Non temere. Da ora innanzi tu sarai prenditore d’uomini vivi, o spirito.»
Poi, quando anche l’ardore del lauro fu consunto e la mia gente si fu allontanata e il trivio fu deserto, io ritrovai l’arte di mia madre nel porre sotto la brace il capo del tizzo.
«Suso in Italia bella»
- 4 novembre 1921.
G. D’A.