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XII ANNOTAZIONE


L’acqua era chiara sotto la ripa destra ed era bronzina sotto la ripa sinistra, verde come il bronzo delle porte sacre. E gli oppii potati avevano su i rami tozzi le foglie nuove, simili a candelabri difformi che attendessero i ceri votivi per illuminare la corrente del martirio. E le rondini seguitavano ad arare; e, come la terra si faceva più bruna, la rischiaravano col baleno bianco dei petti.

Il pescatore stava là immobile, con la pertica in mano, fiso all’acqua, paziente; e non prendeva nulla.

Erasma Eufemia Dorotea Tecla pregavano per lui.

Si riscosse; tolse dall’acqua la rezzuola vuota; camminò a ritroso; scelse un altro luogo; abbassò gli staggi; rindossò la sua pazienza; e attese.

Nessuna voce divina gli aveva detto: «Cala di nuovo la tua rete. Non disperare.»

A poco a poco tutti i romori si quetavano. Il rombo del cannone laggiù era come il mùgolo sordo del temporale. Da ciascuna tomba saliva una colonna di silenzio gloriosa incontro al primo lacrimare delle stelle.

L’ode dell’usignuolo accompagnava quell’ascensione con una forza di rapimento più impetuosa che il delirio solare dell’allodola.

Cantava la morte, cantava la vita. O mors, ero mors tua.

C’erano dietro di me due tombe di giovinetti a me familiari, due primizie dell’offerta: la tomba di Lapo Niccolini Alamanni e quella di Corradino Lanza d’Aieta. Colsi una foglia vecchia di lauro e una novella; e le ruppi come se seguissi un modo rituale. La vecchia aveva un profumo più forte; ma la novella, umida di linfa, prometteva l’acqua che disseta le alte ansie.

Non potevo più partirmi. Annottava. Le rondini avevano cessato di arare. Tra i cipressi neri la basilica latina s’era fatta di color ferrigno come vestita di tutt’arme, e della sua ferita diceva: «Non dolet. Non duole.»

Nulla della sua diceva il fante ignoto. Ma le braccia cominciavano a tremargli.

Levò la rete dall’acqua. Posò la pertica su