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ANNOTAZIONE III

navali. Luigi Bologna, che era di nuovo il mio pilota, conosceva la mia prova e la secondava maschiamente, con un cuore senza fenditure. Il bordo della carlinga, su la mia destra, era libero a disegno. Avevo preso tra le mie gambe una giunta di quattro bombe in gabbia, da lanciare a mano; e avevo messo contro l’altimetro il pronostico della cecità subitanea.

A partire dai duemila metri di quota, feci alternativamente l’osservazione oftalmica e la fumata per tenere il gruppo riunito dietro la mia fiamma blu.

A tremila metri, il monòcolo vedeva. A tremila e duecento metri, vedeva. A tremila e quattrocento metri, vedeva «pur con l’uno».

Il pilota si voltava a ogni tratto verso di me con un cenno. Con un cenno gli davo il risultato dell’osservazione. Dialogo indimenticabile dell’amicizia guerriera nella grande altezza dove non può sopravvivere nulla che sia meschino o timido.

Il gruppo di testa nella foschìa aveva deviato verso Rovigno. Arrivai primo su la piazzuola della batteria antiaerea. Ridussi la quota d’attacco. Luigi Bologna calò a mille e seicento metri, con una manovra della più ardita eleganza fra zona e zona di tiro. Nel brusco cangiamento di pressione, vedevo ancóra. Tolsi le spine dalle mie bombe da gamba, e cercai di ridurre al silenzio il nemico e la mia sorte. In quell’epoca non avevo ancor ritrovato il grido primitivo della mia razza che ha sostituito agli schinieri di bronzo le gambiere di lana; ma il mio braccio levato avrebbe potuto cogliere una stella dall’empireo, tanto lo trasumanava l’allegrezza.

Quando calammo nel canale di Sant’Andrea e rimontammo lo scivolo, mi parve che i miei giovani compagni aspettanti, nel sollevarmi sopra le loro spalle, mi esaltassero alla cima della loro gioventù e all’apice delle loro ali.

Ero rinato.

La data della mia rinascita è il 13 di settembre 1916. E fui ben ribattezzato nel mare di bile.


Intumuit mascula bilis. E poi vennero le giornate del Vallone, di Doberdò, della quota 265, del Veliki,