Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu/51


notturno 39

me in quella notte d’agosto quando andavamo insieme, simili a due ciechi, stretti l’uno contro l’altro, per la riva inondata dall’acquazzone, feriti dal taglio dei lampi incessanti ogni volta che aprivamo le palpebre.

Domando una tregua per fissare la sua faccia quale io la vidi l’ultima volta. Voglio ritrovare in me quella parte remota di me che forse sapeva quella essere l’ultima volta, mentre io non lo seppi.

In che modo mi svegliai quella mattina? Quale fu il sogno che accompagnò l’anima al limitare della luce?

Come gli alberi di fronte al sole obliquo, gli atti hanno dietro di loro un’ombra lunga che nessuno misura.

Ecco, sono alzato, sono vestito, ho il mio mantello, ho il mio coraggio d’ogni mattina. Nulla mi lega alla casa. Questa casa è meno che una tenda passeggera. Sono libero, col mio disegno; e il mio disegno m’è tutto.