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notturno 471

io venga fuori, perché io sorga. Rimango immobile, dominando l’impeto di levarmi.

Il mio corpo si consuma stillante, straziato dalle trafitture degli aghi salutari.

Qua e là nei muscoli il battito intermesso delle fibrille mi dà non so che ribrezzo, quasi io sia abitato da una piccola bestia veloce che scorra perdutamente per le mie membra tentando con le zampe e col muso di aprirsi una via.

Il cuore sregolato mi pulsa nella gola, mi rimbomba nella nuca.

Pace, pace, pace. Ma il santo annunzio non placa i miei mali.

Non posso difendermi dalla tentazione di fare la prova. Libero a poco a poco il braccio dalle fasce, alzo l’orlo della benda che copre l’occhio leso, apro la palpebra.

L’ombra ostinata è là, senza mutamento. Il buon presagio è vano.