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notturno | 463 |
piti, incontravo la morte presso il davanzale. Fissavo contro di lei gli occhi duri e selvaggi di chi combatte.
Era una casa nella campagna di Resìna, solitaria.
Era una notte di giugno.
Il vulcano da più giorni ardeva; e per la finestra apparivano i fuochi del cratere, le larghe fenditure infiammate, le lunghe colature roventi, la soprastante nube rossa di riverberi.
Il medico era partito, riponendo l’ultima speranza nel sonno come in un farmaco divino. La piccola aveva cessato di piangere e s’era assopita quando io l’avevo presa su le mie braccia e avevo incominciato a camminare piano.
Non sentivo il mio corpo se non in forma di cadenza.
Non mormoravo, non cantavo, quasi non respiravo, ma il mio passo imitava la cantilena, ma la piegatura de’ miei gomiti imitava la culla ondeggiante, ma tutte le mie membra