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quando era infante; dorme sul mio letto di pena come nella sua culla d’innocenza.

La veglio camminando piano da un canto della stanza all’altro.

Il mio passo è tacito. Ho i calzari di lana.

Ritrovo un poco della mia pieghevolezza dalla cintola in giù.

Tengo il torso rigido, il collo eretto, la testa riversa indietro.

Porto il mio occhio infermo sul mio viso incavato, come sul piatto della martire Lucia.

Se il piatto fosse pieno di sangue, o di lacrime, non ne cadrebbe una stilla, tanto è abile la mia cautela.

A ogni volta, passando davanti allo specchio, scorgo nell’ombra un estraneo dal capo bendato.

Quando m’accosto al letto, il mio piede si fa più lieve sul tappeto, come la zampa di un animale notturno che traversi una prateria.

I dottori m’hanno permesso di fare