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«Guarda! Guarda!»

Così mi trascinò alla finestra. E io sollevai le pàlpebre gravate; e intravidi i grandi picchi di zaffiro, i vertici soprannaturali di un pianeta senza uomini.

«Guarda!»

Era la trasfigurazione dell’alpe apuana in una notte lunare venuta dal fondo della memoria millenaria di chi sa qual dio estatico.

Richiusi le pàlpebre, premuto dal sonno inerte.

«Guarda!»

Le riapersi e le richiusi. Lo spettacolo divino fu cancellato dall’onda del fiume immemore.


E perché, ad Atene, quel giorno, non fui abbastanza veloce nella mia corsa per giungere all’Acropoli prima che la subitanea concitazione orgiastica del tramonto d’agosto declinasse?