Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu/414

402 notturno


Avevo tuttavia quei crini nel pugno e il tormento indistinto nel cuore.

Uno strido improvviso, un lampo bianco.

Dal vetro rotto dallo spiraglio era entrata una rondine?

C’era un nido nella volta della stalla?

Da quanto tempo?

Palpitavo attonito.

Una piuma leggera discese per l’aria fatata ondeggiando: quella da mettere nel cappio a inganno.

Non aspettai che il garzone venisse a togliermi di groppa. Scavalcai una gamba e mi lasciai scivolare sopra la paglia.

«Torno, Aquilino. Prima di sera torno.»

E andai diritto verso il focolare, con una fronte dove già cominciava a segnarsi il solco verticale della volontà.

E gettai quel pugno di crini nel fuoco fatato.